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Cambiate la linea di pensiero e cambierete la vostra natura.

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    hartifexassociation
  • 22 lug 2022
  • Tempo di lettura: 13 min

La grande differenza tra i metodi antichi e moderni di investigazione della mente umana è confrontare il "De Anima" di Aristotele e qualsiasi trattato moderno come "Principi di psicologia" di William James.

Sebbene ci siano molte prove dell'indagine induttiva nel libro del filosofo greco, è principalmente di carattere oggettivo; e mentre ci sono osservazioni incidentalmente acute sulle operazioni dei sensi e sulla costituzione di alcuni stati mentali, la maggior parte del trattato è fisiologico o metafisico.

C'è una sorprendente uniformità nel trattato "De Anima" nelle mani di ogni scrittore successivo per tutto il Medioevo.

L'oggetto e le condizioni delle operazioni delle facoltà cognitive e appetitive dell'anima, la costituzione delle specie, il carattere della distinzione tra l' anima e le sue facoltà, la connessione dell'anima e del corpo, l'intima natura dell'anima , la sua origine e il destino è discusso in ogni trattato dal XII al XVI secolo; mentre il metodo di argomentazione si basa piuttosto su un'analisi ontologica dei nostri concetti dei vari fenomeni che su un attento studio introspettivo del carattere delle nostre attività mentali stesse.

Tuttavia, si deve ammettere che l'attenta osservazione e analisi induttiva della nostra coscienza, così caratteristica della moderna letteratura psicologica, occupa uno spazio relativamente piccolo nel De Anima classico delle scuole medievali.

Di solito si presume che stati e processi siano così ovvi che una descrizione dettagliata è inutile e la parte principale dell'energia dello scrittore è dedicata all'argomento metafisico.

Il "Saggio sulla comprensione umana" di Locke (1690) e gli scritti di Thomas Hobbes (1588-1679), che si combinano entrambi con una metafisica confusa e superficiale, un'osservazione molto acuta e tentativi genuinamente scientifici di analisi dei vari stati mentali, inaugurarono lo studio induttivo sistematico dei fenomeni della mente che è diventata la moder-na scienza della coscienza, la psicologia empirica o fenomenica dei giorni nostri.

In Gran Bretagna l'idealismo di Berkeley, che risolveva il mondo materiale apparentemente indipendente in una serie di idee risvegliate da Dio nella mente, e lo scetticismo di Hume, che affermava di portare l'analisi ancora più lontano, dissolvendo la mente stessa in un ammasso di stati di coscienza, costituisce una speculazione filosofica sempre più sullo studio analitico dei fenomeni mentali, e diede origine alla Scuola Associazionista.

Questo alla fine arrivò virtualmente a identificare tutta la filosofia con la psicologia. Reid e Stewart, i più abili rappresentanti della Scotch School, pur opponendosi all'insegnamento di Hume con una migliore psicologia, rafforzavano ancora con il loro metodo la stessa tendenza.

Nel frattempo, sul continente, il sistema del dubbio metodico di Cartesio, che ridurrebbe tutte le ipotesi filosofiche al suo ultimo cogito, ergo sum, promosse il movimento soggettivo della speculazione da un altro lato, poiché piantò il seme delle varie filosofie moderne della coscienza, destinate ad evolversi lungo vari versi di Fichte, Schelling e Hartmann.

La filosofia del romanticismo (idealismo) ebbe il suo primo propugnatore in Johann Gottlieb Fichte (1762-1814). Riguardo a questo personaggio è significativo osservare che nel 1793 egli aderì alla Massoneria, iscrivendosi ad una Loggia di Zurigo e che l'anno immediatamente successivo, 1794, ottenne una cattedra alla Università di Jena. Fu proprio nello stesso 1794 che Fichte espose per la prima volta le dottrine che lo resero famoso. La grande novità della filosofia di Fichte è che egli nega la realtà del mondo, per affermare solo l'esistenza dello spirito umano. Alle origini di tutto, egli dice, vi è un io umano infinito, assolutamente libero e creatore.

Ad esso si contrappone, autolimitandosi, un non-io, la natura, che egli stesso produce e crea e in cui si rispecchia. Da questo rispecchiarsi dell'io nel non- io, e cioè nella natura da lui stesso creata, nasce la coscienza.

In termini semplificatissimi, il principio di ogni cosa è uno spirito umano eterno, infinito e onnipotente, ma non ancora cosciente, che crea il mondo fisico per porselo davanti e, in opposizione ad esso, acquistare coscienza di sé stesso.

Da questo suo rispecchiarsi e riconoscersi, e quindi dall'autocoscienza, deriva la conoscenza. Gli io singoli, empirici e finiti, il mio, il tuo, il suo, dipendono bensì dal non-io e cioè dalla natura, dal mondo che rispetto ad essi appare esterno e autonomo, ma partecipando dell'io assoluto, sono in grado di comprendere che il «non-io», e cioè, si ripete, il mondo, è prodotto dall'io.

Non è questo il luogo di illustrare come Fichte spieghi questa sconcertante comprensione. Ai fini che qui ci interessano importa, invece, svolgere alcune considerazioni necessarie per procedere oltre nell’esposizione.

Fichte, massone, si richiama espressamente al pensiero del filosofo ebreo del Seicento Baruch Spinoza (1632-1677), che affermava appunto l'identità del pensiero e dell'essere, e quindi di dio e del mondo, nel quadro di una concezione panteista (tutto è dio), e quindi monista (tutto è uno). Come Fichte si dichiararono seguaci di Spinoza anche gli altri due principali esponenti dell'idealismo: Friedrich Schelling (1775-1854) e Georg Wilhelm Frie-drich Hegel (1770-1831). Dunque, con l'idealismo, nato non per caso in ambiente protestante, al penetrare nel mondo cristianizzato dell'ebraismo talmudico-cabalistico, che, negando l'esistenza di un Dio personale - dotato di pensiero e volontà e trascendente rispetto al mondo - si risolve, appunto, in panteismo se il mondo è increato, ed è assoluto e quindi divino.

Il cabalismo costituisce l'essenza stessa del segreto massonico, illuminante è la seguente citazione tratta dal Dizionario Massonico di Luigi Troisi: «La Kabbalah ebraica [...] è utilissima a ricercare i significati più profondi dei rituali di tutti i Gradi scozzesi».

Il che equivale ad affermare che la Massoneria è tutta nella Kabbalah.

Kabalisticamente, nella filosofia di Fichte, al posto di Dio viene messo l'uomo, il cui pensiero crea l'Universo. Ma quest'uomo, se ben ci pensate, è ambivalente. Alle origini esso è un Io e cioè un Uomo Assoluto, eterno e onnipotente, che crea l'Universo per riconoscersi in esso. Fichte dice che egli pone il non-io, e cioè la natura. Ma in questa sua operazione egli si spezza negli io empirici, e cioè negli innumerevoli individui che compongono il genere umano e che sono finiti, limitati, pur continuando ad esser parte dell'Uomo Assoluto e Originario.

Dunque, a ben vedere, vi è un uomo immenso, cosmico, che è all'origine di tutto e comprende tutta l'umanità, e in esso vi sono tanti uomini singoli che concorrono a formarlo come cellule di un unico immenso organismo. Questa dottrina costituisce la occulta radice esoterica dell'umanitarismo, e cioè della religione dell'uomo.

Già a questo punto si impongono due evidenti considerazioni:

- il pensiero cabalistico, ebraico e massonico, si risolve nella sostituzione dell'uomo a Dio, e cioè nella rinnovazione del peccato originale suggerito ad Adamo ed Eva nella Genesi dal Serpente tentatore;

- Fichte diffonde, nel modo cristiano, una dottrina assai diversa, soppiantando la filosofia scolastica (strettamente legata alla credenza nel Dio personale e creatore), e sostituendovi il culto dell'uomo. uomo divinizzato. Alla scolastica della religione cristiana si sostituisce quella della religione talmudica e cabalistica. La stessa operazione iniziata tra il Quattro e il Cinquecento con l'Umanesimo, e in particolare con Pico della Mirandola (1463-1494), e portata avanti col protestantesimo. Martin Lutero (1483-1546) si introduce la dottrina talmudica del «libero esame» dei Testi Sacri, e così si cancella l'oggettività della Rivelazione e della Legge Divina (garantita dall'assistenza dello Spirito Santo, particolarmente alla Chiesa gerarchica) e ad essa si sostituisce l'uomo divinizzato, interprete inappellabile del vero e della legge espressi in quei testi.

In tal modo, esso diviene misura e fonte del Vero e del Falso, del Bene e del Male. Infatti, se tutte le interpretazioni, anche le più contrastanti sono vere, non vi è una verità oggettiva che vincola l'uomo, ma la «verità» è l'uomo stesso.

È interessante osservare come i filosofi romantici fossero concordi nell'affermare che la filosofia propalata da Fichte apriva una nuova era, in inglese si direbbe un New Age, nella storia del pensiero umano. Per rendersi conto della potenzialità rivoluzionaria e dirompente del pensiero di Fichte è necessario esaminare con attenzione la cosmogonia che esso sottintende e le tre fasi attraverso cui la medesima si svolge. Riprendiamola, dunque, in attenta considerazione.

All'origine di tutto, afferma Fichte, vi è l'io umano assoluto e cioè l'uomo assoluto, l'uomo cosmico ed eterno, il quale non essendo materia e neppure pensiero, spirito, (perché il pensiero, la coscienza, sorge soltanto quando l'io si oppone al non-io e in esso si riflette) in buona sostanza si risolve in un nulla. Ciò è tanto vero che Fichte, facendo proprie le parole che il F. Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832), massone e Illuminato di Baviera, pone in bocca al mago Faust prima del patto con Mefistofele che, erettosi a suo demonio custode, lo porterà di peccato in peccato, alla redenzione diabolica, sostiene che «Im Anfang war die Tat»[1]: al principio vi era l'azione. L'azione, si badi bene, non l'essere, onde il fondamento del tutto non sarebbe l'essere, ma l'attività che lo produce. Come poi possa esserci un'attività che non ha essere e quindi non è, come possa esserci qualcosa che non esiste, è un mistero della filosofia faustiana e romantica. Questo uomo cosmico-nulla, che è la tesi, il punto di partenza, della cosmogonia fichtiana, o meglio, cabalistico-massonica, produce l’uomo come archetipo della kabbalah e contrappone a sé stesso, come propria antitesi, la natura, il non-io. Tale contrapposizione, spiega Fichte, limita l'io originario, lo toglie di mezzo in parte (quasi che l'infinito potesse ammettere una diminuzione, una sottrazione) e da essa scaturisce, sintesi fra i due opposti, la coscienza, la conoscenza, la rappresentazione, frutto dell'incontro dell'io che conosce con l'oggetto conosciuto. Condizione, però, di tale conoscenza è, come si è visto, la limitazione posta dal non-io, onde l'uomo, precipitando dall'Uno nel mondo del limitato e quindi del relativo e del molteplice, si sarebbe spezzato negli io «finiti», e cioè nei singoli uomini limitati e soggetti, pertanto, alla morte. Essi restano tuttavia, pur sempre, parti, componenti di quel grande lo assoluto primario. Di fronte a questo processo iniziale che dà il via all'Universo ed è fondato sul principio della contrapposizione degli opposti (l'assoluto, tesi, e non-io, e cioè natura, antitesi, che si conciliano nella sintesi-conoscenza) il compito dell'uomo cosmico che ormai agisce attraverso i suoi frammenti molteplici è, dice Fichte, quello di superare incessantemente il limite dato dal non-io, che altro poi non è che la realtà, per affermare sempre più la propria infinitudine. Onde la realtà, la condizione attuale del mondo, e cioè della Storia, è un dato che va sempre superato per ripristinare l'illimitatezza, la divinità dell'uomo. Essa rappresenta l'antitesi, cui consegue una sintesi la quale si pone come nuova realtà, che va a sua volta superata, e quindi tolta di mezzo, nella corsa verso il recupero della incondizionata libertà dell'uomo rispetto al dato oggettivo, reale, considerato sempre come un limite, e quindi una pastoia che va soppressa e distrutta. È da notare che in questo ordine di idee la causa della caduta è la brama della conoscenza e quindi il pensiero, l'autocoscienza, che costituiscono le individualità separate, onde la ragione, senza cui non si ha né conoscenza né coscienza, appare come il principio del male, la forza malefica che ha spezzato l'unità divina dell'Adam Kadmon e che occorre quindi far scomparire per reintegrare quell'unità perduta[2].

Per liberarsi da Dio e affermare, quindi, la propria assolutezza e divinità, l'uomo, anzi, il mago che si arroga natura e poteri divini, deve negare l'immensa realtà che lo circonda e lo condiziona, le leggi fisiche cui il suo corpo è soggetto, la scienza che le ricerca e le riconosce e, infine e soprattutto, la ragione, che gli manifesta la sua infima piccolezza e impotenza di fronte all'Universo e lo vincola condizionandolo negli schemi invincibili dei processi logici, fondati tutti sull'invalicabile principio di non contraddizione e sulla conseguente distinzione tra vero e falso.

Negata realtà e ragione, il mago, il ribelle a Dio, il rivoluzionario, altro scampo non ha se non nel nulla in cui si precipita per annientarsi e sfuggire all'odiato Creatore.

Giova ricordare, che l'Adam Kadmon, l'Adamo cosmico, non essendo né materia né spirito, è un nulla. Infine oggi si parla di filosofia della mente[1], ma affrontare tale tema ci porterebbe lontani dal percorso tracciato.

Al centro di tutto questo ragionare vi è il collegamento tra mente e coscienza, con due approcci diversi diremmo oggi di hardware e di software, per utilizzare dei termini informatici[2].

Una forma di coscienza molto importante sia dal punto di vista filosofico che psicologico è l'autocoscienza.

Con questo si intende la coscienza della mente delle sue operazioni come proprie. Da questa cognizione combinata con la memoria del passato emerge la conoscenza della nostra personalità permanente. Non solo abbiamo stati coscienti come gli animali inferiori, ma possiamo riflettere su questi stati, riconoscerli come nostri e allo stesso tempo distinguerli dal sé permanente di cui sono le modificazioni transitorie. Considerata come la forma di coscienza attraverso la quale studiamo i nostri stati, questa attività interiore è chiamata introspezione. È lo strumento principale impiegato nella costruzione della scienza della psicologia, ed è una delle tante differenze che separano la mente umana da quella animale. Si è parlato talvolta di "senso interno", il cui oggetto proprio sono i fenomeni della coscienza, poiché quello dei sensi esterni sono i fenomeni della natura fisica. L'introspezione è, tuttavia, solo la funzione dell’intelletto applicato all'osservazione della nostra vita psichica. La peculiare attività riflessiva esibita in tutte le forme di autocoscienza ha portato gli psicologi moderni che difendono la spiritualità dell'anima, ad insistere sempre più su questa operazione della mente umana come argomento principale contro il materialismo.

Infine l’anima.

La questione della realtà dell'anima e della sua distinzione dal corpo è tra i problemi più importanti della filosofia, poiché con essa è legata la dottrina di una vita futura.

Diverse teorie sulla natura dell'anima hanno affermato di essere conciliabili con il principio dell'immortalità, ma è un istinto sicuro che ci porta a sospettare che ogni attacco alla sostanzialità o alla spiritualità dell'anima come un assalto alla credenza nell'esistenza dopo la morte.

L'anima può essere definita come l'ultimo principio interno mediante il quale pensiamo, sentiamo e vogliamo, e dal quale i nostri corpi sono animati.

Il termine "mente" di solito denota questo principio come il soggetto dei nostri stati coscienti, mentre "anima" denota anche la fonte delle nostre attività vegetative.

Che le nostre attività vitali procedano da un principio capace di sussistere in sé, è la tesi della sostanzialità dell'anima: che questo principio non è esso stesso composto, esteso, corporeo, o essenzialmente e intrinsecamente dipendente dal corpo, è la dottrina della spiritualità.

Se c'è una vita dopo la morte, è chiaro che l'agente o il soggetto delle nostre attività vitali deve essere capace di un'esistenza separata dal corpo.

La credenza in un principio animatore in un certo senso distinto dal corpo è un'inferenza quasi inevitabile dai fatti osservati della vita. Anche i popoli incivili giungono al concetto dell'anima quasi senza riflettere, certamente senza alcuno sforzo mentale severo.

I misteri della nascita e della morte, la decadenza della vita cosciente durante il sonno e lo svenimento, anche le operazioni più comuni dell'immaginazione e della memoria, che distraggono un uomo dalla sua presenza corporea anche quando è sveglio, tutti questi fatti suggeriscono invincibilmente l'esistenza di qualcosa oltre l’organismo visibile, interno ad esso, ma in larga misura indipendente da esso, e conduce una vita propria.

Come si attua questo grande cambiamento? In qual modo l’uomo, vittima dei propri desideri e della propria natura inferiore, può essere vittorioso, e quindi trionfare sul mondo, sulla carne e sul male?

Tutto ciò si produce quando il cervello diviene consapevole del sé, dell’anima, il che si ottiene solo quando il sé reale può “riflettersi nella sostanza mentale”.

L’anima in se stessa è libera dagli oggetti e sempre nello stato di “unità isolata”.

Tuttavia l’uomo deve - nel suo cervello - realizzare queste due condizioni d’esistenza; deve liberarsi coscientemente da tutti gli oggetti di desiderio ed essere un tutto unificato, distaccato e libero da tutti i veli e da tutte le forme.

Lo scopo è raggiunto quando lo stato di essere cosciente, proprio dell’uomo spirituale, lo è anche dell’uomo incarnato. Questi allora non è più alla mercé del corpo fisico, cioè vittima del “mon-do”. Procede libero, col volto splendente (I, Cor., 3) e la sua luce si effonde su ciò che lo circonda.

I desideri non muovono più la “carne”, le emozioni non lo soggiogano più. Col distacco, ed equilibrando gli opposti, si è liberato dagli umori, dalle brame, dai desideri e da tutte le reazioni emotive che caratterizzano la vita dell’uomo comune, ed è pervenuto al centro di pace.

L’orgoglio, personificazione dell’errato uso della mente e delle sue false concezioni, è vinto, e l’uomo è libero.

La natura dell’anima, le qualità e le opere proprie dell’amore di un Figlio di Dio, e la saggezza che nasce quando amore e azione si fondono, caratterizzano la sua vita terrena, e può dire col Cristo: “Tutto è compiuto”.

Una delle leggi fondamentali dello sviluppo spirituale è questa: “Come si pensa, tali si è”, a cui può servire di spiegazione il detto orientale: “L’energia segue il pensiero”. Come si cambiano i desideri, si muta se stessi; via via che si sposta la coscienza da una mèta a un’altra ci si trasforma.

Trasferire la coscienza pensante da un oggetto inferiore a uno superiore produce un afflusso d’energia di qualità corrispondente a quella dell’oggetto più elevato. Avviene così una mutazione nell’entità pensante, le cui vestigia si adeguano al nuovo pensiero.

Le parole di San Paolo sono chiare: “Trasformatevi rinnovando la mente”.

Cambiate la linea di pensiero e cambierete la vostra natura. Desiderate ciò che è vero e giusto, puro e santo, e la coscienza di queste cose creerà, dal vecchio, un nuovo corpo, un nuovo uomo, “uno strumento atto all’uso”.


§§§§

[1]La filosofia della mente è lo studio filosofico della mente, degli atti, della coscienza e delle funzioni mentali e delle loro relazioni con il cervello, il corpo e il mondo esterno. La filosofia della mente si addentra nelle questioni di fondo e nei problemi metodologici che stanno dietro la ricerca scientifica sulla mente, usando sia il metodo speculativo (attraverso esperimenti mentali), sia tenendo conto dei risultati ottenuti nella ricerca empirica e strumentale, che oggi può avvalersi della PET, la tomografia ad emissione di positroni, e della MRI, la risonanza magnetica funzionale per immagini. [2] Il metodo di attenta osservazione operosa delle attività della mente, l'accurata descrizione e classificazione delle varie forme di coscienza, e lo sforzo di analizzare prodotti mentali complessi nei loro elementi più semplici, e di tracciarne le leggi della crescita e dello sviluppo delle nostre numerose facoltà, costituiscono una sana procedura razionale che è degna di lode quanto l'impiego di un valido metodo scientifico in qualsiasi altro ramo della conoscenza. Inoltre, poiché l'unico mezzo naturale per acquisire informazioni sulla natura intima dell'anima è l'indagine delle sue attività, lo studio scientifico dei fatti della coscienza è oggi un preliminare necessario a qualsiasi metafisica soddisfacente dell'anima. Sicuramente nessuna filosofia dell'anima umana che ignora i risultati dell'osservazione scientifica e della sperimentazione applicata ai fenomeni della coscienza può oggi rivendicare il consenso al suo insegnamento con molte speranze di successo. D'altra parte, la maggior parte degli psicologi di lingua inglese dai tempi di Locke, in parte per eccessiva devozione allo studio di questi fenomeni, in parte per disprezzo per la metafisica, sembrano essere caduti nell'errore di dimenticare che il principale motivo di interesse per la lo studio delle nostre attività mentali risiede nella speranza che possiamo trarre da esse inferenze sulla costituzione interiore dell'essere, soggetto o agente da cui queste attività procedono. Questo errore ha fatto la scienza di coscienza, nelle mani di molti scrittori, una " psicologia senz'anima "

[1] J. W. Goethe, Faust, verso 1237. [2] Considerata in questa prospettiva esoterica, la filosofia di Fichte presenta aspetti e valenze che sfuggono a chi non la consideri alla luce del segreto iniziatico che la Massoneria insegna ai suoi adepti e che può in estrema sintesi essere così ricapitolato: al principio vi è l'Uomo Divino, l'Uomo Celeste, l'Adam Kadmon, l'uomo totale ermafrodita, e quindi completo e autosufficiente, in cui i sessi non sono ancora divisi. Poi vi è una sua caduta originaria che si concreta nella nascita del mondo fisico, il non-io, che è produzione e proiezione dell'lo primo. È lo anch'esso, ma lo oggettivato e cristallizzato che limita l'originaria assolutezza dell'Uomo Celeste. Dall'incontro fra io e non-io nasce la conoscenza. Persa l'assolutezza e con essa la totalità e l'unità originarie, l'Uomo Celeste si frammenta, quasi come un vaso di vetro caduto a terra e spezzato, in innumerevoli piccoli uomini che, per stare alla nostra immagine, rispecchiano e riflettono bensì, come altrettanti frammenti del vaso infranto, la prisca, unica figura, ma hanno smarrito il senso di quella unità che li trascende e vagolano fra le apparenze illusorie del molteplice. La separazione dei sessi è espressione di questa perdita della totalità, dell'unità e dell'assolutezza dell'lo primevo. Tale unità del genere umano, che si fonde in un individuo unico rivendicando la propria assolutezza e divinità e rigettando ogni legge, è l'esatto contrario dell'unità della Chiesa come Corpo Mistico di Cristo. Ma la mèta finale è l'ekpurosis, il diluvio di fuoco in cui l'intera prigione cosmica, l'intera illusione del non-io, della natura, della coscienza e della individualità degli «io» separati, sia dissolta, in cui il microcosmo (e cioè l'uomo singolo, analogo al divino, ma sminuito e smarrito nel labirinto del mondo) sia riassorbito dal macrocosmo, e cioè, appunto, dall'Adam Kadmon. Si noti bene che tutte queste elucubrazioni sulla precedente divinità dell'uomo, sullo spezzamento dell'lo originario e celeste, vengono alla Kabbalah dalla filosofia pagana neoplatonica e in particolare da Plotino (205-270), e indirettamente dallo stesso Platone (428-348 a. C.).

 
 
 

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